L’arte di James E. Hinton parla dei diritti civili
{Black Lives Matter… I have a dream?}
di Monica Bani {Fotografa}
Caduto nel dimenticatoio, torna oggi alla ribalta il fotografo e filmmaker James E. Hinton, grazie anche al movimento BlackLivesMatter.
Hinton nasce nel 1936 ad Atlantic City, New Jersey, studia scienze politiche alla Howard University scoprendo l’interesse per la storiografia grazie all’influenza di William Leo Hansberry, studioso e docente americano. In seguito, per pagarsi gli studi, diviene fotografo ufficiale della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, come tecnico di camera oscura al Capitol Hill.
Ma l’interesse per la fotografia nacque molto prima, all’età di 14 anni, quando la madre gli regalò l’attrezzatura per una camera oscura. Ed è proprio qui che si formerà il suo “sguardo fotografico”, l’occhio per il “ritaglio” e la scelta delle tonalità monochrome, per far in modo che la pelle dei suoi soggetti, diventasse “nera”.
Dopo l’università James completò il servizio militare, trasferendosi a Chicago, dove lavorò come fotografo, iniziando ad esporre le sue opere. Nel 1965 si sposta a New York, continuando a fotografare per pubblicazioni e testate giornalistiche Black.
James E. Hinton è stato a tutti gli effetti un pioniere afroamericano che ha intrapreso la carriera fotografica e cinematografica proprio quando il movimento per i diritti civili stava nascendo.
Gli scatti di Hinton catturano le specificità della vita nera più ordinaria nell’America della metà del secolo, quella dei proprietari di piccole imprese, degli attivisti e spesso dei bambini. Descrivono incontri sociali, studiano gli sforzi di integrazione scolastica e godono della bellezza e della creatività della popolazione comune. Ma ha anche realizzato foto di alcune delle figure più importanti dell’era dei diritti civili: leader, atleti e artisti tra cui Martin Luther King, Jr., Stokely Carmichael, Muhammad Ali, Mahalia Jackson e Miles Davis.
È attraverso le sue fotografie che veniamo a conoscenza dei bisogni, delle opportunità, delle contraddizioni e dei limiti del periodo turbolento in cui Hinton visse. E non possiamo così evitare di venire a contatto con i problemi nell’istruzione, negli alloggi, nell’assistenza sanitaria e l’impatto delle droghe e della polizia.
Oltre a tutto questo l’opera di Hinton evidenzia gli sforzi quotidiani e lo spirito dell’organizzazione politica nera, documenta dimostrazioni, scioperi, proteste a New York, Chicago, Atlanta, Mississippi, California e Washington DC, e racconta delle attività di organizzazioni come il Congress on Racial Equality, lo Student Non-Violent Coordinating Committee, Comitato per le opportunità illimitate per i giovani di Newark e Harlem unificate.
L’occhio fotografico di Hinton per i commenti sociali e l’interesse per la storiografia sono successivamente passati dalla fotografia alla produzione cinematografica.
Hinton rimase affascinato dalla forza del cinema come mezzo dinamico di comunicazione e consapevolezza e all’inizio degli anni ’60 si rivolge sempre più alle immagini in movimento, senza abbandonare però la professione di fotografo documentarista.
La storia dei diritti civili del popolo afroamericano è raccolta in un archivio di oltre 40.000 immagini, di cui è in corso la digitalizzazione da parte della Emory University.
Le sue fotografie stampate su carta sono invece nella collezione della National Portrait Gallery, Library of Congress, Emory University e High Museum of Art.
Oggi più che mai il lavoro di James E. Hinton torna alla ribalta e affianca il movimento Black Lives Matter.
La storia è ciclica, ricordiamolo, e purtroppo ci ritroviamo a fare i conti con l’assurdo tema della differenza razziale e con tutto ciò che questo assurdo concetto si trascina dietro.
Per molti Black Lives Matter è solo una rivoluzione superficiale, che non intacca i rapporti di potere e le cause profonde delle discriminazioni e del disagio; per altri, le azioni dei manifestanti hanno avuto un forte impatto nel dibattito che soltanto tre mesi fa, in piena emergenza coronavirus, ben pochi potevano immaginare. E forse è anche grazie a loro che siamo riusciti a parlare d’altro.