Kim Ki-duk
{Un talento controverso, complesso e geniale allo stesso tempo}
di Monica Bani {Fotografa}
Da Primavera, estate, autunno, inverno…e ancora primavera al non realizzato Rain, Snow, Cloud and Fog: la magia dell’arte cinematografica di Kim Ki-duk.
In questo anno “strano” molti volti noti del cinema e del teatro sono venuti a mancare e alla lista già tristemente folta si è aggiunto anche il nome del regista sudcoreano Kim Ki-duk, morto in Lettonia a dicembre, all’età di 59 anni.
Il mio primo incontro con questo regista complesso e affascinante risale agli inizi degli anni 2000, quando insieme alla mia amica Micaela andammo a vedere uno dei suoi meravigliosi film: Primavera, estate, autunno, inverno…e ancora primavera.
Rimanemmo affascinate da questa eccezionale opera d’arte cinematografica nella quale Kim Ki-duk racconta le stagioni della vita dell’essere umano attraverso le stagioni naturali dell’anno: l’infanzia primavera, l’adolescenza estate, l’età adulta autunno, la vecchiaia inverno e l’inizio di una nuova vita con la primavera successiva, in un movimento circolare continuo.
Da quel momento in poi cominciai a seguire negli anni il lavoro di questo regista, scoprendo il suo talento controverso, complesso e geniale allo stesso tempo.
Kim Ki-duk nasce nella Corea del Sud il 20 dicembre del ‘60, dopo la scuola dell’obbligo inizia a lavorare come operaio in una fabbrica per aiutare economicamente la propria famiglia e a vent’anni si arruola in Marina, dove ebbe una crisi religiosa, ipotizzando l’idea di diventare predicatore. Nel 1990 si trasferisce in Europa, e precisamente a Parigi, dove si avvicina alla pittura, mantenendosi con la vendita dei propri quadri. Proprio in questo periodo, si avvicina al cinema, iniziando a produrre le sue prime sceneggiature senza alcuna formazione accademica e, soprattutto, con un bassissimo budget. Peculiarità quest’ultima, che farà parte di tutta la sua carriera da regista, preferendo girare i propri film in solitudine e con pochi soldi, piuttosto che indebitarsi con grandi aziende di produzione.
Le sue opere sono complesse ed estreme, sono un’indagine profonda dell’essere umano e per questo non possono essere semplici, fruibili e di immediata comprensione. Kim Ki-duk ha un linguaggio estremo, senza misure, che racconta di emozioni forti e di poesia struggente dell’animo, che si scontra con l’assurdità carnale e peritura dell’esistenza.
Ricordo, a questo proposito, la pellicola Human, Space, Time and Human che descrive un gruppo di persone che salpa su una vecchia nave da guerra verso una destinazione sconosciuta e non definita. Ecco che il regista si lascia andare alle dinamiche interpersonali di questo gruppo di personaggi, attraverso immagini forti e parabole di violenza. Come lui stesso affermava, “con questo film ho voluto esplorare fin dove può spingersi l’essere umano per la sopravvivenza, rappresentare la piccolezza dell’universo nei termini di una nave che solca l’Oceano, un piccolo mondo in cui la società intera è rappresentata dalle varie tipologie di persone a bordo. Il compito di un film non è essere la rappresentazione esatta della realtà, ma offre uno sguardo preciso. Mi sono concentrato sui confini del desiderio umano e, man mano che la pellicola proseguiva, ne ho spinto sempre più avanti i limiti, per capire in che modo l’umanità inizia e dove va a finire”.
La violenta drammaticità che racconta nei suoi film, ha fatto comparsa anche nella vita personale del regista, quando fu accusato di violenza fisica e sessuale da parte di un’attrice che lavorava in un suo film. L’attrice affermò di essere stata picchiata sul set e costretta a scene di nudo e sesso non previste da copione durante le riprese del film Moebius. Sembrerebbe che Kim Ki-duk abbia affermato di aver schiaffeggiato l’attrice per far emergere le emozioni e farla entrare nel personaggio, prima di iniziare a riprendere le scene del film. Come lui stesso dichiarò: “Quattro anni fa c’è stato effettivamente questo incidente, è passato molto tempo e non ricordo bene cosa è successo. Stavamo provando una scena ed era presente tutta la mia troupe, che al momento non ha obiettato trovando la cosa inappropriata. Riguardo allo schiaffo, come ho spiegato e risposto in tribunale, è successo ma era qualcosa che per me aveva a che fare più con la performance dell’artista che con la violenza stessa. La corte poi ha deciso diversamente, e sono stato condannato ad un risarcimento. Non sono stato del tutto d’accordo, ma mi sono assunto le mie responsabilità”.