Visioni Acustiche di Distacchi
{scritti covidiani contemporanei}
di Deborah Demoro {Docente & Scrittrice}
Un tono un sottotono che si stacca dalle corde vocali. L’ultimo abbraccio con se stessi prima del cambiamento.
In un tempo che scorre uguale a se stesso mi concedo all’estasi dell’ispirazione ed entro in un mondo fluido in continuo mutamento.
Sono immagini che mi vengono a trovare, si lasciano guardare e dopo un istante si defilano come riassorbite dalla lampada di Aladino. Dita sottili che dopo una giornata di lavoro sfilano la sottoveste e il fruscio della stoffa che lucidamente si posa per terra, le spalle scoperte a mostrare la stanchezza e la forza della donna.
Lo stesso fruscio di tasche semi vuote in cui trova posto soltanto un temperino, lo strofinio dei sottili trucioli che fino a poco fa erano custodi di quella graffite e di tutta la bellezza che sa lasciar impressa in linee, curve, partenze traguardi e abbracci che si spostano sempre un po’ più in là.
Il sibilo di un sassolino che esce dalle dita di un bambino prima che da lì si distacchi e faccia il suo salto verso il mare: le dita lo stringono forte ed è impercettibile la voce della sua partenza, sottile come il rumore che fa l’animo della madre quando il proprio figlio o la propria figlia si stacca per la prima volta e cammina in autonomia, impercettibile quell’attimo inatteso della manina che si sfila con la stessa accuratezza della sottoveste.
Il delicato ticchettio dei petali di un fiore che si staccano dal loro centro per il tormento di una giovane fanciulla, che somiglia al battito del cuore di due amanti che si ritrovano a non capirsi più e a scontrarsi senza prendersi, come corpi d’acqua le cui goccioline sanno solo attraversarsi senza incontrarsi.
L’emozione di un lombrico che sta per lasciare le sue sembianze per diventar farfalla e quella di un girino che, ignaro di ciò che gli accade, compie la sua metamorfosi per diventare rana e volare e saltare là dove poco fa non era possibile arrivare, conquistando cosi la libertà insita nella loro stessa natura.
Come il salto che porta in alto un giovane parkourist e l’aria tra le suole e la terra ma soprattutto lo spazio tra la testa e il cielo ha l’odore della libertà e più si stringe e più diventa blu come l’ultimo abbraccio con se stessi prima di nuove possibilità.
Sento il fruscio delle scarpe di una ballerina attecchire al gesso per volare in alto sul palcoscenico: mentre i nastri rosa carne volteggiano in aria, le onde del piede e la perfezione di quei gesti si fondono col silenzio in platea, con lo stesso stupore con cui assisto al sole che si distacca i raggi per farsi luna nella fase calante e poi crescente e illuminare il cielo e la terra con argenteo candore.
Sento il rumore che fa la rabbia nelle viscere di chi non sa saltare e mentre incorro in queste immagini sento quegli attimi in cui il tempo l’ho fermato: nel bacio con due labbra che non sanno staccarsi in quell’amor perfetto che è perfetto solo un attimo. Nel click della mia macchina fotografica manuale e nel “crockkete” della manovella che ricarica il rullino dello scatto successivo. In quei salti e in quei tuffi per toccare al volo la palla e salvarla dal rimbalzo o per schiacciarla a terra e farla rimbalzare nel campo opposto. Nei sorsi di birra con le amiche, nelle vite silenziose eppure così invadenti l’anima impresse nelle pagine di racconti e romanzi.
Nelle serate piene di musica immersa in luci, spazi, suoni e odori penetranti ma soprattutto nei foglietti tinti di inchiostro, negli scontrini pieni di parole che ho creduto perfette anche solo un attimo, come quell’amore la volta dopo. Sento il silenzio della penna e il rumore della mia anima, la sento odorare di rosa come l’incenso che bruciava le mie emozioni mentre la penna consumava la sua stessa resina
Un uomo dall’olezzo attraente mi passa accanto. sento l’odore della sua pelle attraversarmi le narici, mi distare e l’estasi dell’ispirazione sta per svanire: strofino la mente come fosse la mia lampada di Aladino e attraverso essa il ronzio dei pensieri così riavvolgo tutto daccapo in un rewind: la sottoveste si rialza, il sassolino torna al sicuro nelle mani del bambino, la manina torna in quella della mamma, il fiore torna a riavere tutti i suoi petali, la graffite si riappropria dei suoi trucioli e la mina ripercorre il disegno da rana a girino, da farfalla a lombrico, dal salto a prima dello stacco, la luna si fa di nuovo sole e tutto si ricompone nelle linee e nelle curve di quell’ultimo abbraccio, prima del distacco.