Squid Game
{La serie virale di Netflix è sudcoreana}
di Micaela Antozzi {Art Director}
La serie distopica sudcoreana, in cui un gruppo di persone, disperate da troppi debiti, è costretta a giocare a giochi mortali per avere la possibilità di vincere la propria fortuna, è arrivata in cima alle classifiche di tutto il mondo. Ad oggi infatti, il 95% degli spettatori proviene da fuori della Corea del Sud. Questa serie (pazzesca) è diventata virale, ma anche un fenomeno di stile e in modo cruciale, emotivamente risonante.
La trama è un miscuglio davvero originale e sorprendente, non solo per come viene narrata la storia, ma anche nel modo in cui fa sentire lo spettatore che si è imbattuto in questa serie. Impressionante per uno spettacolo in lingua originale (sottotitolato). La storia si snoda via via, su un gruppo di persone schiacciate dai debiti, costrette da una misteriosa organizzazione mascherata a partecipare a giochi dell’infanzia, per avere la possibilità di vincere un jackpot milionario evitando così una morte brutale, quanto inconsapevole.
Nello sfortunato gruppo di 456 concorrenti, l’eroe principale è proprio “456” (i personaggi sono indicati principalmente dal loro numero designato), Seong Gi-Hun (interpretato dal bravissimo Lee Jung-Jae già conosciuto all’estero per un altra serie fortunata di Netflix, Chief of Staff, anche questa da non perdere), un alcolizzato pieno di debiti, dedito alle corse dei cavalli, che vive con l’anziana madre. Lungo la strada, incontriamo poi un disertore nordcoreano, un ex membro di una gang caduto in disgrazia, un broker di finanza in fuga dalla polizia, un vecchio malato terminale e un immigrato illegale del Pakistan, che fanno squadra con l’eroe/antieroe “456”.
Dal primo episodio di apertura, in cui i giocatori vengono uccisi senza pietà mentre giocano a “Uno, due, tre, stella!” è abbastanza chiaro che lo spettacolo diventerà violento. La serie ha una fotografia incredibilmente brillante e varia, con inquadrature di straordinaria bellezza, con location quadridimensionali alla Maurits Cornelis Escher e non c’è da meravigliarsi se la gente sta impazzendo per questa serie.
Squid Game è uno spettacolo scioccante ma anche estremamente divertente, la morte di ogni concorrente arriva come un pugno nello stomaco, abbastanza per farti venire voglia di piangere e di pensare
Squid Game è un mondo in cui ogni concorrente è così disperato da essere ridotto a uno stato infantile, letteralmente e figurativamente, lo spettacolo ricorda il parco giochi della nostra infanzia: fare amiciazia, scegliere squadre, condividere cibo, rifiuto, accettazione e in definitiva, sopravvivenza.
Squid Game è diventato anche un fenomeno di stile, secondo Vogue:
“un fenomeno culturale che ispira
le tendenze della moda attirando l’attenzione degli influencer e appassionati di K-drama”
Louis Vuitton ha appena nominato Ho Yeon Jung, una delle protagoniste, come ambasciatrice della maison, il primo grande marchio di lusso a saltare sul carro del successo della cultura Kpop, rendendola così l’attrice più seguita in Corea del Sud. Ex modella, Ho Yeon Jung ha già sfilato per Vuitton per la primavera/estate 2017 e ha lavorato con Chanel, Fendi e Miu Miu per le campagne social.
Con l’ascesa delle piattaforme di streaming, il cinema e la TV sono diventati una forma di evasione e ispirazione. Le case di moda possono attingere all’estetica delle serie popolari, per connettersi meglio con i propri clienti e in particolare con la Gen Z che si rivolge a Tiktok per ricreare look cinematografici.
L’ambientazione distopica di Squid Game, unita all’uso di passamontagna e maschere, alimenta la crescente tendenza della moda “survivalist” persino le magliette bianche numerate, un po’ stile carcere, in cui i protagonisti sono codicizzati e le scarpe bianche Vans Slip-on presenti nel film, hanno subito un incremento nelle ricerche online.