Nativi Digitali, my ass!
{Non sanno usare internet e tantomeno la tecnologia}
di Micaela Antozzi {Art Director}
Ho sentito spesso, negli ultimi anni, usare il termine «nativi digitali» applicato ai ragazzi di oggi, perché sono cresciuti con Internet, iPad e quant’altro. Voglio fermamente dissociarmi da questo falso mito, perchè è una bugia. La verità? E’ che non sanno niente di niente.
Seriamente, i «nativi digitali» non sempre possiedono competenze informatiche avanzate. Tanto che quasi la metà dei giovani mostra performance piuttosto scarse, nonostante dichiarino di avere «ottime conoscenze» del Web. la maggior parte di tutto quello che sanno è trasmettere video su YouTube e Twitch, postare selfie e storie su Instagram e status improbabili su Twitter (con alcune eccezioni, of course).
Che il loro ambiente richieda facilità con alcune applicazioni, non cambia il fatto fondamentale che utilizzare la tecnologia correttamente, è un insieme di competenze acquisite, non un talento innato.
La convinzione di sapere già tutto sulla tecnologia ha convinto noi e loro, a pensare di non aver bisogno di una formazione tecnologica.
Una mia amica per esempio, pensa che i suoi figli siano dei geni, perché a due anni maneggiavano già un iPad ed è assolutamente convinta che il loro futuro sarà facile e tutto in discesa.
Sono felice per lei, le dico. Ma quello che non le dico, per non offenderla e deludere le sue aspettative, è che la genialità non sta nei suoi bambini, ma nella brillante idea dei designer di Apple che hanno potuto creare un dispositivo così intuitivo che anche un bambino di 2 anni può usarlo.
In realtà aspettarsi che sappiano automaticamente come usare una tecnologia a causa della loro nascita nell’era di internet, è come credere di preparare un piatto da «Gran Gourmet» infilandolo semplicemente nel microonde.
Molte delle decisioni in merito alla formazione (e soprattutto alla sua mancanza) presente nella maggior parte delle scuole professionali, ad esempio di grafica & design, parlo del mio specifico campo lavorativo, poggiano su fondamenta illusorie.
Parliamo di basi: l’80% dei ragazzi che ho avuto in stage, nativi digitali appena usciti da scuole professionali, non sapeva come usare il comando CTRL+F per trovare una parola in un documento o in una pagina web. Impacciati, cercavano goffamente la parola scorrendo manualmente il testo.
Alcuni studenti di grafica, non conoscevano il semplice CTRL+X, CTRL+C, CTRL+V, (il tipico taglia, copia e incolla) oppure non sapevano installare un Font e nemmeno creare un file in PDF o scrivere in Word, altri ignoravano cosa fosse una quadricromia, pochi avevano le basi per usare i programmi fondamentali come Photoshop e Illustrator, figuriamoci parlare di HTML e web design o semplicemente non avevano idea di come aumentare la RAM al proprio portatile. (menomale che c’è Aranzulla!)
Questa ignoranza a volte mi stupisce, mi stupisce davvero. Ma sia chiaro, io sto usando la parola «ignoranza» nella sua forma più neutra – cioè, la mancanza di informazione o conoscenza – e non di certo per trasmettere qualsiasi giudizio o connotazione peggiorativa.
La cosa peggiore dell’ignoranza
è «non sapere che non sai».
E la sua maledizione è non aver la curiosità di conoscere anche quello che non ti è stato insegnato, per andare oltre.
«Non sappiamo cosa non sappiamo». Questo vale per tutti. Giovani e vecchi.
Non riconoscere quanto siamo incompetenti si traduce in «una fiducia infondata» nel nostro livello di abilità. Per questo motivo, le persone più bisognose di formazione hanno meno probabilità di riconoscerlo.
Mentre siamo portati a credere che gli studenti siano costantemente online e impegnati in una varietà di attività, i sondaggi sull’uso della tecnologia da parte dei «nativi digitali» suggeriscono che la maggior parte è invece impegnata nei social, mentre solo un piccolo numero, è impegnato in attività di creazione di contenuti come blog e creazione di wiki.
Al di là degli usi più comuni della tecnologia, passare molto tempo su Internet o sui social network, non significa avere una reale idea di come utilizzare al meglio questi strumenti. Di conseguenza, le possibilità future dei giovani sono seriamente limitate. Stiamo parlando di ragazzi incapaci di fare anche una valutazione minimamente critica delle informazioni a cui accedono, non capendo come funzionano i motori di ricerca, non essendo minimamente in grado di riconoscere spam o truffe.
Il semplice fatto di essere nati nell’era di Internet non conferisce «poteri speciali».
Imparare ad usare correttamente la tecnologia richiede apprendimento e formazione, indipendentemente dall’età.
Il risultato è che il mercato del lavoro richiede competenze, capacità e (per quanto riguarda il mio campo che è la comunicazione visiva) curiosità, che la stragrande maggioranza dei giovani (ripeto, con alcune eccezioni) chiaramente non possiede. Per il futuro lavorativo di questi ragazzi, la sfida sarà distinguere tra candidati che sanno davvero come trarre il massimo da ciò che offre Internet e quelli che sono digitalmente analfabeti e per i quali uno smartphone ad esempio, è semplicemente un mezzo per inviare un selfie su Instagram.
Sono «orfani digitali», piuttosto che «nativi digitali» privi di qualsiasi modello da copiare o di esperienze che potrebbero aver generato criteri, cresciuti con l’accesso ad una grande quantità di tecnologia, ma che tendono ad avere una mancanza di guida. La mancanza di guida viene dai loro genitori che non sono disposti ad avere discussioni faccia a faccia con i loro figli su quali informazioni stanno assorbendo dall’uso della tecnologia.
E l’errore nasce proprio a monte con la convinzione che ha portato noi, addetti ai lavori, genitori e insegnanti, a dare per scontato che non avessero bisogno di nessuna «educazione digitale», come se fossero in qualche modo già «pre-programmati».
I giovani devono essere formati e informati, per utilizzare la tecnologia in modo più efficace. E se non lo saranno, questi ragazzi rischieranno di diventare una «generazione di rifugiati tecnologici» assolutamente non in grado di sopravvivere nel mondo moderno. Cresceranno e diventeranno vittime della tecnologia, piuttosto che padroni di essa.
Perchè, la nuda verità è questa, non raccontiamoci storie: nessuno è nato con “competenze digitali” già predisposte nel DNA.
Possiamo invece sforzarci per primi ad aiutarli ed assicurarci che ognuno di loro possa trovare il proprio modo di relazionarsi alla tecnologia, questo cerco di insegnare ai «miei ragazzi» durante i corsi o gli stage, sia che la utilizzino per svolgere al meglio compiti di base o per creare progetti creativi. E conseguentemente (si spera), per creare mondi nuovi.