Frank Lloyd Wright
{Utopie per un futuro sostenibile}
di Emelise Giovanoli {Architetto}
Frank Lloyd Wright (1867 – 1959 USA), il più grande architetto americano di tutti i tempi. Urbanista, filosofo, designer, libero pensatore e anticonformista (anche nel privato), un visionario che ha cambiato il modo in cui costruiamo e viviamo.
Una carriera durata sette decadi, prima della sua morte nel 1959, esplorando nuovi stili di design attraverso epoche come la seconda rivoluzione industriale, le conquiste coloniali, la Gilded Age, la Belle Epoque, la Prima Guerra Mondiale, il Proibizionismo, il New Deal e la Seconda Guerra Mondiale, progettando 1.114 opere architettoniche di tutti i tipi, di cui 532 realizzate e creando alcuni degli spazi più innovativi negli Stati Uniti.
Nel 1932 uscirono due importanti pubblicazioni, una di queste “The Disappearing City”, dove Wright introdusse un concetto di sviluppo urbano e suburbano chiamato “Broadacre City”, una visione utopica per il decentramento vista come precorritrice delle “Green Garden” ed epigone della Garden City di Frederick Law Olmsted ed Ebenezer Howard.
Il progetto effettivo di Broadacre City risale al 1934, nell’anno successivo espone un plastico di 3,7×3,7 metri, in occasione dell’Industrial Art Exposition al Rockfeller Center di New York, realizzato con la collaborazione di numerosi studenti e stagisti che lavoravano per lui e finanziato dall’imprenditore e filantropo Edgar J. Kaufmann.
La concezione urbanistica di Wright si basa su una teoria che vede la natura come grande protagonista e combatte l’urbanesimo con uno “sbriciolamento della città” attraverso singole unità abitative disperse nel verde.
Broadacre City, rappresenta l’antitesi della città. Wright paragonava la congestione urbana come un “atto disumano” e asseriva che il riassestamento organico della città doveva prevedere necessariamente un decentramento. Una città sviluppata con espansione orizzontale, ove ciascuna famiglia possedeva 1 acro di terra (pari a 4000 mq) e visti i criteri di densità, più paragonabile ad un villaggio. Le strade dovevano seguire le linee del terreno, quindi linee sinuose costeggiate da alberi e lungo le quali dovevano trovarsi luoghi pubblici, mercati, centri civici ed edifici multipiano per le funzioni pubbliche.
Wright tentava di affermare che le metropoli odierne andavano distrutte e che l’unico modo di salvare gli Stati Uniti d’America era di assicurare a ciascuno una porzione sufficiente di terra, di aria e di luce tale da consentire di vivere come individuo e non come numero.
Il Progetto di Broadacre City, anche se in parte imprigionato in un idealismo ottocentesco, rappresenta un volo di fantasia straordinario.
Intanto negli anni che vanno dal 1935 in poi la sua architettura, laddove possibile, si allontana sempre di più dalla linea retta e il suo modulo preferenziale diviene il cerchio e la sua forma strutturale preferita quella a spirale a chiocciola.
Iniziò così dal progetto per il Planetario del 1925 (non realizzato ) su incarico di Gordon Strong, poi l’interno del negozio V. C. Morris Gift Shop per culminare con lo stupefacente museo a New York per la Solomon Guggenheim Foundation.
Il Museo genera una straordinaria skyline dove una flessuosa e candida linea a spirale
rompe la linearità del profilo
sulla Quinta strada.
Ultimo capolavoro del Maestro, progettato nel 1943, ma costruito tra il ’54 e il ’59, (al 1071 della Fifth Avenue), dove per poter seguire i lavori da vicino, si trasferì proprio a New York per quattro anni alloggiando al Plaza Hotel, in una suite che ridecorò internamente con arredi e finiture disegnate da lui.
Nell’idea originale di Wright, il colore della struttura era rosso. La committenza, nelle figure di R. Solomon e Hilla Rebay, lo voleva giallo o verde, raggiungendo in fine un compromesso: bianco. All’epoca fece scalpore, definito ironicamente “tortino” “lavatrice” “parcheggio”.
Una forma libera, una vera e propria rampa a spirale ispirata ad una chiocciola, che compie cinque giri completi attorno ad un pozzo circolare diventando, in tale rotazione, sempre più ampia e dilatando la forma dell’edificio verso l’alto.
Un ulteriore colpo di genio fu l’idea di uno strabiliante e gigantesco lucernario per garantire l’ingresso della luce naturale, con all’interno uno straordinario spazio espositivo senza soluzioni di continuità: una galleria a continuum, dove le opere sono esposte lungo le pareti, con una altezza totale di sei piani ed una lunghezza di quattrocento metri.
Tale edificio esprime pienamente
la concezione di Wright:
uomini liberi, linee flessuose, in uno spazio fortemente plastico.
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Una piccola curiosità:
“So long, Frank Lloyd Wright” (1970) di Simon & Garfunkel, non è un addio al grande architetto americano, piuttosto una malinconica riflessione scritta da Paul Simon rivolta ad Art Garfunkel (che vantava ai tempi studi di architettura), ancora inconsapevole dell’imminente separazione.
Il poetico testo recita: “Ricorderò, caro Frank Lloyd Wright tutte le sere in cui abbiamo cantato insieme”.